Se si ha voglia e necessità di vedere qualcosa di profondamente diverso, di spietatamente intimo, di confusamente coinvolgente, Undone (R. Bob-Waksberg, K. Purdy, 2019) è la serie che fa al caso vostro. Recentemente approdata su Amazon Prime Video, la serie animata – in realtà un prodotto in tecnica mista finalizzato in rotoscope – è un esperimento psicologico sullo spettatore, un intrattenimento apparentemente pensato per destabilizzarlo, privarlo delle sue sicurezze interpretative e riempirgli la testa di fantasie paranoiche – non si spiegherebbe, altrimenti, l’impattante atmosfera ansiogena originata al netto di un unico mistero, che forse vero mistero non è. Il trucco sta proprio nella tecnica utilizzata per metterlo in scena, in grado di mantenere in perfetto equilibrio verità e finzione (anche sul piano dialogico) e realtà e allucinazione (soprattutto sul piano visivo), articolati senza soluzione di continuità attraverso l’uso di una comunicazione caustica e destabilizzante e un’estetica fluida e polimorfa.

Ideato dagli stessi autori dell’acclamato – a ragione – BoJack Horseman (2014-), Undone narra le vicende di Alma (Rosa Salazar), una ragazza complicata di origini messicane che, dopo essere scampata alla morte a seguito di un terribile incidente stradale, comincia ad accusare strani sintomi neurologici, con i quali inizierà a prendere sempre più confidenza fino a imparare a “controllarli”. Durante la convalescenza, una persona (Bob Odenkirk) a lei cara farà la ricomparsa nella sua vita per aiutarla a superare il trauma. O forse no…
La serie mette in scena, in modo simile a BoJack Horseman, una rappresentazione annichilita del mondo, una serie di personaggi che definire nevrotici è un eufemismo e una storia di affermazione (fuori dagli schemi) che si rivela essere, al contempo, un rifugiarsi nelle proprie debolezze e inettitudini, tanto che “farcela” o “fallire” potrebbero tranquillamente equivalersi e offrire entrambi delle opportunità conoscitive ed emancipative seducenti.

Le particolari potenzialità narrative di Undone – che consistono nel tenere ogni cosa in gioco, nel far valere tutto e il contrario di tutto – sono peculiari dello stile di uno degli scrittori di fantascienza più importanti e originali del secolo scorso, ossia Philip K. Dick, che già con l’adattamento cinematografico di Un Oscuro Scrutare – A Scanner Darkly (Richard Linklater, 2006) aveva trovato, proprio nel rotoscope, una dimensione narrativo-espressiva ideale. Undone, proprio come i romanzi di Dick, è saturo di quella tensione paranoide capace di sconnetterti dalla realtà, di contraffarre il tempo e lo spazio, di scuoterti tra comicità e tragedia e farti provare il sapore dell’autentica follia.

Al momento non è noto se ci sarà o meno una seconda stagione – anche se c’è da credere che un seguito lederebbe irrimediabilmente l’equilibrio delicatissimo di uno show siffatto – ma per il momento, dopo otto pregni episodi, il ritorno a una noiosa routine non può che rappresentare una pausa quantomeno necessaria.
Vedere per credere!



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